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venerdì 29 luglio 2011

Il caso Islanda: finanza di base per no global e affini [2/3]

Salve.

Questo post segue quello pubblicato ieri sul caso islandese (ne ho anche aggiunto un terzo, di post, per approfondire alcuni aspetti. Lo trovate qui.) Nel post di ieri ho cercato di delineare - per quanto possibile in un blog generalista - le principali cause della crisi finanziaria mondiale scoppiata nel 2007.
In questa invece, entrerò nel merito della vicenda islandese, quella oggetto dell'articolo di Andrea Degl'Innocenti del 13/07/2011, dal titolo "Islanda, quando il popolo sconfigge l'economia globale".

Ricordo che quello di Degl'Innocenti e' un pezzo che circola molto sui social network, e nel quale si sostiene che il caso islandese rappresenti una via attraverso cui i popoli democratici possono liberarsi dal potere della finanza globale, arrivando cosi' all'autodeterminazione del proprio destino.

La tesi che dimostrerò è che tutto questo non è vero. E' solo demagogia. Di finanza globale c'è bisogno, ora più che mai. La finanza globale non si può - né si deve -  fermare.
Si deve, invece, regolamentare bene e controllare seriamente

Ma andiamo con ordine.
La domanda adesso e': nello scenario descritto dal mio precedente post, a cui vi rimando se non capite alcuni dei termini usati in questo post, come si colloca l'Islanda?
Chi ce l'ha con gli Islandesi e perché?

Nell'orgia di finanza derivata che ha dominato i mercati finanziari mondiali negli ultimi dieci anni (e che, si badi, non e' mica finita: ci sono ancora molti, molti titoli tossici in circolazione), le banche della piccola Islanda hanno svolto un ruolo importante, almeno con riferimento ad alcuni Paesi europei.

In particolare, le tre banche (private) Kaupthing, Glitnir e Landsbanki, che dal 2001 operavano in Islanda in un regime di ampia deregulation, e quindi con scarsi controlli sull'operato da parte della FME, l'Autorità di Vigilanza islandese, avevano cominciato a raccogliere ingenti risorse finanziarie da soggetti privati e da enti pubblici esteri, in particolare, britannici ed olandesi, sino ad accumulare un capitale gestito per i due Paesi pari - rispettivamente - a 5,8 ed a 2,4 miliardi di dollari.
Alcune fonti sostengono che l'intero ammontare del debito accumulato dalle banche islandesi sfiori i 50 miliardi di euro, pari a quasi sei volte il PIL dell'isola ed a circa 160mila euro per abitante.

Comunque sia, queste banche vendevano prodotti basati sulle CDO, offrendo rendimenti e livelli di rischio di grande interesse per gli investitori, al punto che i fondi pensione di oltre cento Enti Locali britannici (tra questi, cito la Contea del Kent e quella dell'Oxforshire, il Comune di Nottingham e quello di Cambridge) ed alcuni enti pubblici britannici (tra cui la Metropolitan Police Authority, cioè Scotland Yards, e la TFL, l'azienda trasporti pubblici di Londra) hanno acquistato i loro prodotti finanziari derivati; con loro, anche molte aziende private ed intermediari che hanno operato in nome e per conto di privati cittadini.
All'inizio del 2007, il Financial Times considerava la Corona Islandese la divisa più sopravvalutata del mondo.

Quando, nel 2008, il sistema finanziario islandese e' collassato ed e' stato nazionalizzato, ed il valore della Corona e' crollato di quasi l'80%, il governo islandese, resosi conto dell'entità spaventosa del debito accumulato dai propri istituti di credito privati, si e' rifiutato di ripianare le ingenti perdite degli investitori stranieri, anche di quelli, per cosi' dire, "istituzionali".
Tutto ciò nonostante fosse stato proprio il regime di deregulation con la sua assenza di controlli da parte del Governo a permettere il determinarsi di una situazione cosi' grave in cosi' poco tempo.
Al contrario, dopo alcune promesse rassicuranti fatte inizialmente agli investitori stranieri, nell'Ottobre del 2008 le Autorità islandesi hanno provveduto a congelare i conti di centinaia di migliaia di investitori britannici, scatenando le ire dell'allora Primo Ministro britannico laburista Gordon Brown e aprendo la via ad un vero e proprio incidente diplomatico tra i due Paesi. L'allora Cancelliere dello Scacchiere (cioè il Ministro delle Finanze britannico), il laburista Alistar Darling, minaccio' l'Islanda di adire le vie legali per ottenere una compensazione per gli oltre 300mila investitori britannici colpiti dai provvedimenti delle Autorità della piccola isola. 

Del resto, il governo ed il popolo islandesi avevano usufruito delle laute entrate fiscali generate dalla tassazione degli utili delle banche Kaupthing, Glitnir e Landsbanki, utilizzate per finanziare il costoso welfare state "scandinavo" del piccolo stato artico. Non era mica giusto che ora si rifiutassero di restituire almeno quella parte di denaro drenato alle banche che queste avevano rastrellato agli investitori esteri vendendo loro prodotti truffa, anche grazie all'assenza di controlli adeguati da parte dell'Autorità di Vigilanza Finanziaria di Reykjavik (vedasi il terzo post per i dettagli).

Il braccio di ferro tra i due Paesi e' proseguito per quasi due anni e mezzo, con il pesante declassamento del debito islandese da parte delle agenzie di rating Fitch e Moody's (BAA3 con outlook negativo) ed un'estenuante trattativa per spingere il governo della piccola isola ad accettare le condizioni di Olanda e Gran Bretagna per una restituzione del debito nel lungo periodo, minacciando anche di mettersi di traverso nel processo di valutazione della domanda di accesso all'Unione Europea presentato dal governo Islandese qualche anno prima.
In una delle sue ultime versioni (e' stato rinegoziato più volte) l'accordo prevedeva la restituzione del debito con il 3,3% di interessi alla Gran Bretagna ed il 3% all'Olanda nell'arco di trent'anni, tra il 2016 ed il 2046.

Credo tutti sappiano come sia andata a finire: in Islanda c'è stato un referendum sul piano di restituzione e la gente, udite udite, ha detto NO al piano, a larghissima maggioranza.
Del resto, se uno ti chiede: "Vuoi tu restituire tanti di quei soldi da indebitarti per il resto della tua vita, oppure preferisci non pagare, ché tanto non ti succede niente?", la risposta e' piuttosto scontata.
In Italia, i referendum in materia fiscale sono proibiti dalla Costituzione proprio per questo: per impedire alla gente di votare contro le proprie tasse. Sembra persino banale.

Eppure e' intorno a questo concetto che ruota l'articolo di Degl'Innocenti: il popolo che prende in mano le redini del proprio destino e, con coraggio, si libera delle catene della finanza globale e dei cattivi banchieri. Un tripudio della democrazia.

Peccato solo che Degl'Innocenti non si sia accorto che la piccola, "democratica" e "libera" Islanda quest'anno ha bisogno di 713 milioni di euro "freschi", solo per ripagare con gli interessi la sua ultima emissione di titoli di Stato del 2006; titoli detenuti anche da islandesi i quali, questa volta, non saranno molto contenti di sentirsi dire "NO" dai mercati. Siamo tutti gli Islandesi di qualcuno.

E chissà se ha riflettuto su che cosa succederà quando il Fondo Monetario Internazionale, a cui l'Islanda deve 4,6 miliardi di dollari, pretenderà come precondizione dall'Islanda che recuperi di credibilità sui mercati internazionali o, se preferite, tradotto: che si dia una regolata per sembrare un interlocutore finanziario affidabile, e non il truffatore con l'impermeabile dietro l'angolo che ti offre di fare «un vero affare».

Perché uno dei pilastri della finanza e' la fiducia.
Che farà l'Islanda? Dirà di nuovo di no, adottando comportamenti no global e si farà tagliare fuori da praticamente qualsiasi mercato finanziario del pianeta? Le conviene? E come le finanzia le opere pubbliche e il suo costoso welfare state alla scandinava, una nazioncina di poco più di 300mila abitanti? Certi giochetti, si sa, funzionano una volta sola.

E chissà che cosa pensano le brillanti menti "no global" della libertà e della democrazia dei sacrifici che i cittadini britannici dovranno fare per garantire una pensione a tutti quei lavoratori pubblici i cui soldi sono stati divorati dalle promesse senza fondamento su rendimenti e livelli di rischio fatte da istituti di credito su cui le Autorità Pubbliche Islandesi avrebbero dovuto vigilare con attenzione, invece di giocare alla deregulation.

Perché qualcuno quel conto in sospeso deve pure pagarlo; e se non sono i cittadini islandesi, saranno quelli britannici.

In fondo e' vero: un'altra economia e' possibile. Basta rivolgersi ai no global per trovare giustificazioni insensate ma semplici, quindi di facile presa, e intanto scappare con il malloppo.
Prima che persino chi ti ha appoggiato si accorga del trucco.


Saluti dal mondo reale,

(Rio)

PS. Scusate se ci ho messo due pagine per "smontare" un articoletto di mezza pagina. E che, qui cito il blogger e cacciatore di bufale Paolo Attivissimo: "A mettere in giro una bufala ci vuole un secondo; a demolirla, invece..." :-)

Sull'argomento Islanda sono stati scritti tre post (questo e' il secondo). Ecco i link agli altri due: